Domenica bestiale
pubblicato da Giulia domenica, Febbraio 11, 2007 19:44Si fa un gran parlare del servizio barbarico in cui Matteo Bordone (quello di Dispenser e di questo blog qui) va al centro commerciale di pomeriggio e gli viene la nausea e va a ballare la salsa e idem e fa altre cose grossolanamente identificabili come “passatempi da tamarro”, e ha la faccia di uno che gli serve un Plasil subito.
Premetto che parlerò a vanvera. Il servizio non l’ho visto, ma non è del servizio in sé che mi interessa parlare. Mi interessa di più l’inutile querelle che ne è seguita, a base di Parietti-cor-carèllo-daaspesa e accuse di spocchia tirate dietro a Bordone. Lo quaglio (sto citando Proietti, in una spero pregevole mistura di alto-basso) più o meno chiude la menata a casa sua, ma la questione, ovviamente rimane aperta. Perché non si capisce (ma forse non lo capisco non avendolo visto) quale fosse il pretesto per mandare Bordone al centro commerciale eccetera. Se effettivamente si trattasse di “mettiamo l’intellettuale nei posti da tamarro” (ma dal post di Bordone mi sembra di capire che l’idea non fosse quella), sarebbe stato fastidioso. Come concetto, non come realizzazione: perché ci sta, diciamolo, che uno che si addormenta volentieri ascoltando Joanna Newsom in un locale latinoamericano abbia istinti suicidi e/o ludditi.
Mi interesserebbe appurare se la Parietti shopper all’Esselunga si sia mai posta il problema non di come si comporta l’intellettuale al centro commerciale (snobismo, nausea esistenziale, portamiviastomale), ma di come si comporta il tamarro quando è fuori dal centro commerciale e dentro a situazioni estranee alla sua sfera culturale. Tipo il tamarro fan degli Afterhours che va a vedere il tour del disco in inglese e per tutto il tempo urla “Manueeeeee italianoooooo”, anche se le canzoni di Ballads for Little Hyenas occupano sì e no il dieci per cento della scaletta. Sta male, non gli piace. E’ lapalissiano. E non sto mica parlando di un happening di Pina Bausch. Sto parlando di un concerto degli Afterhours, dove si suda, si canta, si urla in maniera scomposta, si compra la maglietta, qualcuno si fa firmare il disco. Un evento popolare.
Il tamarro esiste. La sua figura è trasversale alle classi sociali. Berlusconi è tamarro quanto il personaggio di Ivano in Viaggi di nozze: di meno c’è un accento romano, ma per il resto siamo lì. Il tamarro esiste e prospera, perché essere tamarri, diciamolo, è liberatorio. E’ liberatorio ballare la dance anni ’90 col pugno in aria, bersi un sacco di Cuba Libre scadenti e dimenarsi in un merengue con le maniche della camicia rimboccate, guardare i film di Alvaro Vitali con o senza la scusa della rivalutazione, essere ignoranti come panche, vestirsi con le griffe taroccate bene in vista (o anche quelle vere, che poi non fa grande differenza), urlacchiare commenti alle ragazze per strada, escludere il congiuntivo dalla sintassi della lingua italiana, guidare un SUV anche se si abita in pieno centro, raccontarla grossa così, esagerare, allargarsi, applaudire il pilota all’atterraggio e la bara all’uscita dalla chiesa. Essere tamarri richiede poco sforzo e procura molto godimento: e la riabilitazione del tamarro è la conseguenza diretta di un atteggiamento culturale (prevalente in certa sinistra, per non parlare di una certa scena musicale) che per decenni ha esaltato l’oscuro e palloso come geniale e irrinunciabile, sputando su tutto ciò che pareva troppo accessibile e commerciale. Milioni di persone non aspettavano altro che il momento seminale di Fantozzi, quello in cui il ragioniere vessato si alza e urla che la Corazzata Potemkin eccetera. Lars von Trier ha rotto i coglioni! Ha detto qualcuno. Qualcun altro lo ha sentito. Si è fatta strada l’idea, peraltro condivisibile, che tra un evento “culturale” che è una mazzata nelle palle e un concerto di Vasco Rossi, Vasco Rossi sia comunque preferibile. E sticazzi se non mi eleva culturalmente. La vita è adesso, lo diceva Baglioni prima di Totti e Gattuso.
E adesso ci troviamo, decenni dopo quel momento, a non poter dire a chiare lettere che una certa non-cultura del produciconsumacrepa, dei divertimentifici, dei tronisti e delle gnagne con le tette finte è una cagata pazzesca, senza essere accusati di snobismo, o peggio, di classismo, di essere dei senza-vita, dei secchioni incarogniti, e se proprio questa roba ci fa schifo basta spegnere la televisione. Magari fosse così: quando ad ogni angolo di strada incontro uno o più emuli di Costantino Vitagliano, quando mi rendo conto che le librerie chiudono una ad una perché nessuno legge più, quando in edicola trovo l’ennesima serie di DVD della commedia sexy all’italiana, allora capisco che no, non basta spegnere la televisione, perché la televisione, come diceva quel famoso spot, è tutto intorno a te.
Aggiornamento
Gianluca ha avuto il buon cuore di postare il video del servizio. Vedetelo: a me non ha spostato la prospettiva di un centimetro.