Unreal TV: la cialtrona fa della televisione (parte seconda)
Quando ti vedono con un microfono in mano, le persone diventano subito molto gentili. Mi chiedono il permesso di salutare Barbara Alberti prima di me, io li faccio passare perché comincio ad assorbire le ondate di panico che vengono dalla coppia Alberti-Santacroce. Il pazzo è ancora in sala. “Barbara, non mi puoi chiamare vigliacco in pubblico! Io ti faccio un esposto!”
Non riusciamo a far parlare la Alberti dell’episodio, in compenso in quel momento la Santacroce (forse seccata perché il pazzo non era suo, ma di seconda mano*), si mette a strillare: “Io in quethto pothto di merda non ci vengo più! Andate a farvi fottere!”
E con la Alberti al seguito, marcia fuori dall’edificio via scalinata secondaria. Diego e io le inseguiamo con la telecamera giù per Corso Vittorio Emanuele, dove Covacich cerca di calmarla, lei urla. “Andate via tutti!”
La guardo, penso a cosa farei al suo posto, e mi balena l’idea che anche questa sia tutta una posa, un modo per riportare su di sé l’attenzione usurpata dal vecchio fricchettone in maglia gialla e dal dramma della Alberti, che da anni se lo vede davanti senza poterci fare niente. Mi monta una certa irritazione.
Sarà anche una bella persona, sotto, non dico di no. Ma troppo “sotto” per i miei gusti.
“Diego” dico, ridacchiando “sono pronta per l’intervento in macchina.”
Diego tiene le due donzelle e il moderatore sullo sfondo. La Santacroce strilla. E io faccio il mio pezzo, sentendomi molto Christiane Amanpour.
Tipico che il giorno in cui posso fare della TV verità, io abbia i capelli ai quattro formaggi.< ?xml:namespace prefix = o ns = "urn:schemas-microsoft-com:office:office" />
All’enoteca dietro San Marco ritroviamo Brizzi con un manipolo di amici. Mi fermo a raccontargli l’episodio, poi gli svelo la fonte della Domanda Intelligente. “Aaaaa!” Fa lui. “E adesso dov’è?”
“A Venezia, alla Biennale della musica.”
Si parla un po’ di Damir (vecchio, fischiate le orecchie?), gli mandiamo un messaggio, poi si riprende a parlare della Santacroce (io sto ancora ridendo per quello “thbattimi thbattimi”: fine dei miei tre secondi da fan santacrociana). Si parla del mio libro, e dei paragoni che mi sono beccata con lui. Non casualmente ne ho dietro due copie, non si sa mai: a un festival letterario girerà ben qualche editore.
“Ma si trova?”
“No. Tieni questo.”
“Grazie! Non ci scrivi niente?”
Agguanto una penna.
Ho appena scritto una dedica a Enrico Brizzi.
Adesso nevica.
Invece no, non solo non nevica, ma fa anche un caldo insolito, o forse è che siamo andati a mangiarci una pizza e ci siamo seduti nel tavolo davanti al forno. La pezzatura della mia ascella sta diventando imbarazzante. Abbandono Diego e i suoi amici pordenonesi e mi accodo alla compagnia dell’ospite d’onore, che sembrano avere programmi un po’ più coinvolgenti di “andiamo a Inchiostro e ci roviniamo di calicetti”. Per oggi ho fatto la reporter a sufficienza. Dopo un caffè, si decide di andare a vedere cosa c’è al Deposito Giordani, anche se io insistevo per il Velvet.
Esterno, notte, il Deposito Giordani.
“Ve l’avevo detto che era chiuso.”
”E vabbè.”
”Boia che freddo.”
”No, è solo umido…”
”Qualcuno fuma?”
”No, io no, grazie…”
”Ma la sentite anche voi la musica?”
”No, io no.”
”Io sì.”
”Dove?”
”Ma qui… mettiti qui…”
(Fade)
Domenica 21 settembre
Mi sveglio con un mal di testa ingiustificato e un umore vergognoso dovuto al freddo patito durante la notte. Diego sta visitando il mio paesello d’adozione con la guida di Alberto, che ha quasi la mia età e che io, per ragioni misteriose, non conosco. Visita alla chiesetta di Versutta, visita alla tomba di Pasolini, visita al frigo di Alberto, e intanto io cerco di convincere uno dei due a venire con me all’incontro con Tommaso Labranca, Giulio Mozzi e Daniele Brolli.
Alla fine riesco a persuadere Alberto a munirsi di telecamera e a seguirmi. Per Labranca avevo delle domande intelligenti fino a due ore prima, ma adesso, per quanto mi pettini i neuroni, non me le ricordo.
Pazienza, mi verranno sul momento.
Labranca, come Gore Vidal, Alain Elkann e diversi altri, non è venuto.
Alberto e io rimaniamo un po’ rincretiniti con telecamera e microfono in mano, facciamo un tentativo misero di riprendere qualcosa, ma ci manca la visione di Diego. Alla fine, lui parte a fare networking per una trasmissione che sta cercando di far partire, e io mi siedo ad ascoltare un po’ Mozzi, Avoledo e Covacich (ma… Brolli?) che discutono di non si sa bene cosa. Mi sento un po’ in colpa: voglio fare la scrittrice e non presto mai attenzione a quello che dicono quelli che ne sanno più di me.
Odo quindi Covacich pronunciare le immortali parole:
“Alla smaterializzazione dell’io del narratore non corrisponde la smaterializzazione dell’io dello scrittore.”
No, penso io, ma a occhio e croce corrisponde la smaterializzazione dei maroni dei presenti.
Capto anche, mentre prendo appunti, la seguente perla:
”Ma io mi augurerei una nuova Biblioteca di Alessandria, che andassero a fuoco tutti i libri…”
Sì, e tu come mangi, poi?
Se divento così, per favore, abbattetemi. E poi dicono che la gente non compra più libri.
Addio.
* Per dovere di cronaca e di giustizia, devo precisare che Damir, che la conosce bene, non sostiene la mia tesi. Ciò non toglie che io non riesca assolutamente a prenderla sul serio…